Si chiamava Mohamed, e sognava
una vita migliore
(22 Luglio
2015)
Omicidio colposo. Questo è il reato ipotizzato dalla Procura di Lecce
nei confronti della titolare dell’azienda per cui Mohamed lavorava, nelle
campagne di Nardò, dove è morto sotto un sole cocente due giorni fa (ne abbiamo parlato qui). Altri due sono i nomi iscritti
nel registro degli indagati dal pubblico ministero: il marito della donna (già
coinvolto in un’altra inchiesta sullo sfruttamento della manodopera
straniera nella raccolta delle angurie) e il presunto intermediario, un
cittadino sudanese, a cui gli investigatori hanno sequestrato un quaderno con i
nomi e i compensi dei lavoratori impiegati come braccianti. Venerdì prossimo il
pubblico ministero conferirà al medico legale l’incarico di eseguire
l’autopsia sul corpo di Mohamed. Sarà, infatti, l’esame autoptico a
stabilire se a causare la morte sia stata qualche patologia pregressa o “semplicemente”
le condizioni disumane cui i braccianti stranieri sono quotidianamente
sottoposti, con turni massacranti fino a dodici ore, senza pause e senza il
rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro.
Altre contestazioni potrebbero aggiungersi, quindi, con lo sviluppo delle indagini, al reato di omicidio colposo: dalla violazione delle norme previste nella legge sul caporalato, allo sfruttamento dei lavoratori. Secondo i primi accertamenti eseguiti, ancora al vaglio della magistratura, la vittima era impiegata nella raccolta nei campi con un compenso di 6 o 7 euro all’ora.
Intanto, tutti i lavoratori provenienti dal Sudan, impegnati nelle campagne neretine, che si raggruppano presso la cosiddetta “falegnameria”, dopo la tragedia, si sono rifiutati di andare a lavorare, con un gesto fermo ma calmo, e tanta dignità. In queste ore, si stanno organizzando per raccogliere soldi e provvedere alle spese di rientro della salma di Mohamed, che non si sa ancora se avverrà in Sudan o a Caltanissetta, qualora non ci fossero soldi sufficienti. Oggi, sono in arrivo a Nardò, dalla Sicilia, la moglie e la figlia dell’uomo. Incontreranno i volontari dell’associazione “Diritti a sud”, che hanno messo a disposizione della donna due avvocati per assisterla gratuitamente. Nei prossimi giorni, è previsto anche un momento di raccoglimento. Per il resto, numerosi sono ancora gli interrogativi su cui fare luce. Per Mohamed, che voleva lavorare pochi giorni, raggranellare qualche soldo e poi partire per la Francia, era stato il suo primo giorno di lavoro a Nardó. E gli è costato caro. Troppo.
Altre contestazioni potrebbero aggiungersi, quindi, con lo sviluppo delle indagini, al reato di omicidio colposo: dalla violazione delle norme previste nella legge sul caporalato, allo sfruttamento dei lavoratori. Secondo i primi accertamenti eseguiti, ancora al vaglio della magistratura, la vittima era impiegata nella raccolta nei campi con un compenso di 6 o 7 euro all’ora.
Intanto, tutti i lavoratori provenienti dal Sudan, impegnati nelle campagne neretine, che si raggruppano presso la cosiddetta “falegnameria”, dopo la tragedia, si sono rifiutati di andare a lavorare, con un gesto fermo ma calmo, e tanta dignità. In queste ore, si stanno organizzando per raccogliere soldi e provvedere alle spese di rientro della salma di Mohamed, che non si sa ancora se avverrà in Sudan o a Caltanissetta, qualora non ci fossero soldi sufficienti. Oggi, sono in arrivo a Nardò, dalla Sicilia, la moglie e la figlia dell’uomo. Incontreranno i volontari dell’associazione “Diritti a sud”, che hanno messo a disposizione della donna due avvocati per assisterla gratuitamente. Nei prossimi giorni, è previsto anche un momento di raccoglimento. Per il resto, numerosi sono ancora gli interrogativi su cui fare luce. Per Mohamed, che voleva lavorare pochi giorni, raggranellare qualche soldo e poi partire per la Francia, era stato il suo primo giorno di lavoro a Nardó. E gli è costato caro. Troppo.
cronachediordinariorazzismo.org
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